Giochi d’Arte
di Claudio Strinati
Antonella Cappuccio ha avuto una evoluzione lunga e complessa di cui questa mostra è preziosa testimonianza. Sono tutte opere recenti ispirate a un unico principio generatore, quello della scomposizione-ricomposizione della forma in una sorta di “gioco” intellettuale che, nel contempo, è severamente meditato e formulato ma anche spontaneo e immediato nei suoi presupposti e nella sua realizzazione. La visione della nostra artista è stata sempre acuta e penetrante, improntata a un senso esplicito del più evidente naturalismo, con una presa sul Reale forte e perentoria e tale visione non è mai cambiata nel corso del tempo, mentre molti e talvota inaspettati sono stati gli sviluppi di una simile idea figurativa sempre incompatibile con l’ovvio e col banale. Non è, infatti, un’artista dolce e tenera, la Cappuccio, ma netta e aliena da qualunque ammorbidimento della percezione, e più è progredita nella sua carriera più ha fatto decadere ogni possibile sospetto di imitazione e recupero pedissequo di un passato certo latente nella sua opera ma improponibile come ricalco.
Oggi la Cappuccio è arrivata a una concezione della forma articolata ma non annichilita nella sua essenza profonda, che reca dentro di sé una componente enigmatica che l’artista esalta e, anzi, vuole mettere nella massima evidenza al punto che continui sono i riferimenti, nella sua peculiare costruzione delle immagini, al gioco del Rebus in cui frammenti di parola si incastrano e si collegano per ricreare un insieme coerente e logico.
E, in effetti, Antonella, in una visione complessiva in parte profondamente religiosa in parte dipendente da un assoluto e razionalistico laicismo, stabilisce nel suo discorso pittorico regole e vincoli che non sono un limite alla sua creatività ma, all’opposto, sono un concreto veicolo di espressione, per cui l’atto del frammentare e scomporre le immagini è in definitiva rivolto all’esaltazione del vedere, che non è più quella del naturalismo spinto degli esordi ma una forma attenuata di verosimiglianza in cui si inseriscono echi disparati di iperrealismo, di metafisica, di oggettivismo rappresentativo, senza che si possa iscrivere il suo lavoro in nessuna di queste antiche categorie.
Al contrario lo stile di Antonella è libero e insieme “costretto”, per cui si accentua quella componente cerimoniale e ufficiale che è stata sempre sottesa alla sua opera. Non ha mai smarrito la sua magnifica attitudine alla ritrattistica e, in ogni caso, alla verosimiglianza, ma adesso l’opera, nel suo insieme, si carica di una emotività e di un senso fremente della disseminazione sentimentale in tutte le cose rappresentate, che questa mostra vuole mettere bene in evidenza. Carlo Fabrizio Carli, con felice formula critica, ha indicato in Antonella, nella sua attuale fase, una disposizione “aggressiva nells sua stessa fragilità” volendo significare quel fenomeno, tipico della nostra artista, consistente in un alleggerimento luminoso che tende come a scardinare la forma, pur lasciandola intatta nella sua purezza e evidenza. Un flusso cromatico che tutto unifica, anche nella frammentazione delle immagini, funge come base imprescindibile per la realizzazione di questi piccoli poemi visivi che raccontano, mentre immobilizzano i dettagli, su un continuo andirivieni di emozioni e soste meditative che sono forse proprio la quintessenza dell’arte della Cappuccio e che questa mostra vuole spiegare nel modo più chiaro e più coerente con le intenzioni stesse dell’artista.
2007, Roma – Palazzo Venezia, Mostra “Giochi d’Arte”.